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Memory ~ Igor Protti, lo Zar dal gol facile…nel calcio e nella vita

Igor Protti, riminese, classe ’67, soprannominato lo Zar, la sua passione per il calcio la coltiva fin da bambino. “Appena mi veniva regalato un pallone – racconta la notte lo tenevo abbracciato, dormendoci assieme”. Il calcio gli è sempre piaciuto e fu suo padre a portarlo allo stadio a vedere il Rimini, squadra con cui inizia il percorso giovanile. L’esordio con la squadra della sua città, in prima squadra, arriva a soli sedici anni e mezzo in serie C. “Esordire con la squadra della mia città spiega – nello stadio dove sono entrato per la prima volta in vita mia, è stato molto emozionante, ne porto un ricordo splendido. Entrai in campo al posto di Giordano Cinquetti, era ed è una vera bandiera del Rimini e per me fu una giornata indimenticabile”.

Dopo i due anni a Rimini, i tre anni a Livorno e un anno a Bergamo, tutti in serie C, per Igor Protti arriva la grande occasione, la serie B, che a quel tempo (fine anni 80) aveva una importanza diversa e una visibilità (a livello nazionale), pari alla serie A, visto che ne parlavano televisioni e radio nazionali. Altra cosa rispetto alla serie C che era vista come un campionato regionale. “Per me, in quel momento – afferma Protti – un punto di arrivo e ripartenza, per lo più a Messina dove avevo già giocato da avversario con la maglia del Livorno quando militavo in serie C. Noi giocavamo al Celeste, uno stadio molto caldo e fantastico, che quando era pieno e lo era sempre, a noi che scendevamo in campo dava un spinta enorme. Appena arrivato instaurai subito un bel rapporto con la città. L’esordio arrivò con la maglia del Messina in Coppa Italia contro il Torino e fu subito doppietta. Un bellissimo rapporto con la città dello Stretto che dura anche adesso poichè, quando tornai da avversario con il Livorno, ricevetti una accoglienza meravigliosa. E’ una città a cui ho dato tutto me stesso e che mi ha dato anche tanto”.

Pur non essendo un tipo facile, in allenamento e in partita, essendo  molto esigente, Protti ha mantenuto con i compagni di squadra un bellissimo rapporto, non solo a Messina. “A loro chiedevo sempre il massimo dell’attenzione, l’impegno da parte di tutti e poi con il crescere, diventando anche il giocatore più rappresentativo di quella squadra, con maggiori responsabilità, dovevo fare così,  Magari in alcuni momenti ai miei compagni potevo risultare poco simpatico ma restavo sempre concentrato nell’obiettivo di ottenere il massimo da parte di tutti perchè, ottenere il massimo da tutti, voleva dire ottenerlo  per la squadra, per la città, per la tifoseria”. 

Il suo primo gol in serie A arriva con la maglia del Bari contro il Genoa. “Quel giorno siglai una doppietta – racconta Protti  – e chiaramente fu un giorno speciale. Tra l’altro il primo gol fu molto particolare. Cercai un passaggio per Tovalieri che non riuscì a prendere la palla e andai a riprenderla io e in scivolata siglai il gol, regalandomi assist e gol. Chiaro che per me fu una giornata emozionante anche se, la giornata più emozionante da questo punto di vista fu l’esordio in serie A nel ’94 contro la Lazio, anche perchè avevo perso l’anno prima mio padre e lui era il mio primo grande tifoso,  mi seguiva sempre e ovunque e quel giorno fu un giorno  dedicato a lui così come a  lui dedicai tutte le belle cose che mi sono capitate nella mia carriera calcistica e quel giorno pensai molto alla soddisfazione di avergli dato questa gioia sperando che mi potesse vedere da qualche parte anche se, il dolore che non fosse lì, quel giorno, era grande”. 

Nella stagione ’95-’96, per Protti arriva il titolo di capocannoniere in serie A. “Se penso che la mia carriera iniziò da centrocampista nel settore giovanile, arrivare a diventare capocannoniere in serie A appare una cosa irreale che nessuno, probabilmente,  si sarebbe mai aspettato, poi  ci sono riuscito anche in B e due volte in C1 ma la serie A, chiaramente, ha una risonanza diversa e oggi ricordo, quella col Bari, come una fantastica stagione. Ancora oggi non è più successo nella storia della Serie A, che una squadra con in organico il  capocannoniere poi retrocedesse in B. Nonostante la retrocessione fummo comunque applauditi perchè fu una squadra che lottò alla morte in un calcio e in un campionato diverso da quello odierno visto che era formato da 18 squadre e 4 retrocessioni mentre oggi si gioca con 20 squadre e tre retrocessioni”. Guardando ad oggi quella squadra si salverebbe senza alcun tipo di problema”.

Livorno è stata per Protti la prima esperienza fuori casa“Quando finì la mia esperienza a Rimini, nel ’85 fu proprio Livorno la squadra dove militai. In quei tre anni in serie C con la città di Livorno, seppur 18enne, si creò un rapporto molto importante ed era un mio desiderio chiudere la carriera con quella maglia e quindi nel ’99, a tre anni di distanza dalla vittoria del titolo di cannoniere del campionato di sere A, decisi di scendere di categoria anche perchè, a Livorno, la serie B mancava da 30 anni e quindi l’ho vissuta come una missione.  Tornare e dare una mano di aiuto a quella società e a quella città, alla quale ero e sono molto legato per riconquistare la B. Ci siamo riusciti al terzo tentativo e per me è stata una gioia enorme. Fu un gol siglato da me, a pochi minuti dalla fine, a Treviso, a consegnarci quella promozione. L’anno dopo questa ultima promozione arrivò in serie B anche il titolo di capocannoniere”. 

Decide di smettere di giocare a 36 anni poichè i grandi obiettivi, Protti, li ha già raggiunti ma l’arrivo di Lucarelli (suo grande amico) e la visita a casa sua di Walter Mazzarri, lo convincono a tornare a giocare, anche spinto da quanto gli chiedevano tifosi e città. “Con quel gruppo, che al suo interno aveva parecchi elementi che portarono la squadra dalla C alla B e Mazzarri come allenatore, giocai tutte le 46 partite di quel campionato a 24 squadre, ottenendo la promozione in A grazie anche alle 53 reti che, complessivamente, realizzammo io e Lucarelli in quella stagione. L’anno dopo giocai la mia ultima stagione in serie A per poi decidere a 38 anni di smettere perchè capii che avevo dato tutto”.

 

Protti e lo storico presidente del Livorno Spinelli

Nonostante abbia conseguito il patentino per allenare formazioni giovanili e di Lega Pro Seconda Divisione, non intraprende mai la carriera in panchina.  “Non mi è mai scattata la molla dell’allenatore. Ho preferito la carriera dirigenziale con buone soddisfazioni ottenendo in Toscana, con il Tuttocuoio il decimo posto in campionato. Miglior risultato di sempre di quella realtà. Poi i tre anni a Livorno con un altra promozione dalla C alla B e una salvezza miracolosa a cui nessuno credeva. Mi posso ritenere soddisfatto anche di questi ultimi incarichi e ora è un anno e mezzo che sono fermo. Nella vita ci sono altre priorità ma spero che qualcuno si ricordi di me e di quanto ho dato al calcio”.

Igor Protti è stato anche  testimonial Unicef, impegnato in numerose attività solidali.  “E’ stata una delle mie bellissime esperienze, iniziata mentre ero in attività a Livorno, continuata anche a fine carriera. Credo che mi son reso disponibile, nel limite del possibile, a iniziative benefiche perchè credo sia dovuto e le problematiche sono tantissime, difficile  seguirle tutte. Unicef è una realtà che tutti conoscono che si occupa anche e in particolar modo di bambini. Per un mondo migliore ritengo che sia giusto puntare sui bambini dando loro una infanzia più dignitosa”.

Il calcio oggi, secondo Protti, è in continua evoluzione. “Ho vissuto varie generazioni di calciatori, allenatori e oggi, rispetto al passato, per un attaccante  il gioco è molto più semplice perchè le regole sono cambiate, viene più penalizzato il gioco duro, ostruzionistico, ci sono molti più rigori e tante altre cose che permettono agli attaccanti di segnare. Anche il fatto che i difensori marcano molto meno l’uomo e più la palla è determinante, e i numeri parlano chiaro. Se pensiamo che negli anni 80 il più grande campione della storia del calcio, Maradona, vinse la classifica marcatori (se non erro), in Italia con 16 gol e adesso si arriva in una stagione a 30 gol, è chiaro come si marchi meno e di come il ruolo di attaccante si sia semplificato. Rispetto al passato anche il senso di appartenenza alla maglia in alcuni casi viene a mancare. Io resto della convinzione che indossare una maglia di calcio di una squadra è importante perchè si indossa la storia di quella città e si sposano le aspettative della società e delle persone che pagano per venire a vederti e tornare a casa soddisfatta. Io il calcio l’ho vissuto come uno sport e lavoro di grande responsabilità e  dovrebbe essere sempre così, anche adesso”.