RubricheSerie A

Graziano Cesari: ‘Il nome straniero vende più abbonamenti e i giovani italiani non crescono’

La redazione di Affidabile.org ha intervistato Graziano Cesari, considerato uno degli arbitri più importanti dell’epoca moderna. Cesari ha parlato della Nazionale, del nuovo CT Gattuso e degli errori arbitrali più eclatanti della stagione di Serie A appena conclusa.

Ha anche raccontato del suo esordio come arbitro e delle tappe della sua carriera, arbitrale e di opinionista televisivo.

Ben trovato Graziano, non possiamo che partire dalla Nazionale e dalla sconfitta contro la Norvegia. Cosa dovrebbe cambiare secondo te per tornare ad essere competitivi a livello internazionale?

Credo che nei nostri campionati ci siano troppi stranieri e il settore giovanile inevitabilmente si ferma. Abbiamo una Nazionale Under 21 che è una meraviglia, dove giocano ragazzi bravissimi, è questo secondo me il serbatoio da cui partire.

Anche l’Under 19 ha fatto molto bene, ma probabilmente le squadre, o i loro dirigenti, hanno paura a mettere i ragazzi giovani italiani in prima squadra.

E sbagliano: abbiamo un esempio meraviglioso, Leoni, che è arrivato dal Padova, ha giocato nella Sampdoria con ottime performance, poi si è trasferito al Parma, ancora una volta con ottimi risultati. Ecco, questi sono gli esempi positivi a cui dobbiamo ispirarci e a cui dare fiducia.

Penso anche a Casadei che a Torino ha fatto un campionato straordinario, ha giocato una partita qualche sera fa da incorniciare. Sono tanti i ragazzi bravi. Dobbiamo aiutarli a crescere e nello stesso tempo avere un po’ di pazienza, senza fischiarli quando sbagliano una partita.

Ma questa paura da dove nasce?

La paura nasce da tante cose, ad esempio dal fatto che il nome straniero fa vendere più abbonamenti. Probabilmente siamo in una situazione in cui ci si aspetta di più dal giocatore brasiliano o argentino… ma magari i nostri sono molto più bravi.

E poi ci sono i rifiuti dei calciatori alla Nazionale…

Non credo che basti giocare una o due partite per indossare una maglia così importante. Prima bisogna dimostrare di essere all’altezza delle aspettative e poi si può avere la possibilità di scendere in campo e giocare con la Nazionale.

Spalletti esonerato, qual è il tuo punto di vista?

Innanzitutto permettetemi di esprimere tutto il mio rammarico, la mia delusione e la mia amarezza per l’esonero di Spalletti che è avvenuto in modo del tutto inusuale. Non ho mai visto un allenatore che si presenta in conferenza stampa dichiarando di essere stato esonerato. Qualche mancanza dirigenziale sicuramente c’è stata, se non altro nella forma.

Ti aspettavi un finale diverso per lui?

Ho una grande stima per Spalletti, così come per il difficilissimo mestiere dell’allenatore. Tanti CT li ho conosciuti quando erano giocatori in Serie C e nelle categorie inferiori. Siamo cresciuti insieme, ovvio che mi dispiace moltissimo quando succedono queste cose.

Qualcosa però non ha funzionato…

Non lo discuto. Gli errori li commettiamo tutti, no? Però quando è arrivato Luciano, il plebiscito era totale. Poi improvvisamente qualcosa si è incrinata. Non ne conosco il motivo, ma so che quando i risultati non arrivano c’è sempre qualcuno che deve pagare, uno per tutti.

Te la saresti mai aspettata la scelta di Gattuso come CT della Nazionale? Da dove dovrebbe partire secondo te e dove può arrivare?

No, non me l’aspettavo questa scelta, ma apprezzo moltissimo l’avvento di Ringhio. Non lo conosco personalmente, ma conosco le sue qualità di calciatore ed è da questo che deve partire. Ha giocato in grandissime squadre e questa sua esperienza in campo lo aiuterà.

Credo che a questa Nazionale manchi l’amore per la maglia e lui è il più indicato per rappresentarla. Per lui la maglia è sudore, onore ed emblema, e l’ha indossata sempre con grandissima motivazione.

Fare l’allenatore è un mestiere molto difficile e difficili sono le previsioni. Non so a quali risultati potrà arrivare perché i problemi ci sono, non a caso abbiamo saltato due Mondiali. Però stiamo comunque parlando di una Nazionale che ha vinto tantissimi titoli e spero che Ringhio riesca a qualificarla.

Va anche detto che al suo fianco c’è uno staff composto da fortissimi campioni del mondo e questo per lui sarà motivo di forte coesione.

Una certezza è il numero uno in porta, Donnarumma. Ecco, sicuramente partirei da lui.

Parliamo ora di Serie A. Nel corso della passata stagione ti sei trovato a commentare tanti episodi arbitrali controversi. Qual è stato il più eclatante?

Il più eclatante credo che sia stato il rigore non concesso all’Inter, nella partita contro la Roma.

Era un momento delicato del campionato, in cui Inter e Napoli si contendevano lo scudetto per pochi punti. A me non piacciono molto le classifiche senza errori arbitrali, perché bisogna tenere in considerazione tante variabili, però è innegabile che in quel caso l’errore si è verificato ed è stato riconosciuto anche dai vertici arbitrali.

Poi chissà quanti sfavori ha subìto il Napoli che io in questo momento non rammento. Però aver ammesso che si trattava di un errore significa aver “cannato” completamente.

Che impatto possono avere errori come questi sul campo e sul prosieguo del campionato?

L’errore sul campo esaspera e rende nervosi i calciatori. E quando non si è più lucidi diventa ancora più difficile pensare a quella che sarà la decisione del direttore di gara.

Il nervosismo che ne nasce influisce molto perché se si subisce un torto, o si pensa di averlo subito, nel prosieguo dalla partita si avranno tante difficoltà, e lo stesso rapporto arbitro-giocatore si incrina.

Rispetto ai tempi in cui arbitravi sono cambiate diverse cose. Cosa risponderesti a chi sostiene che il VAR ha tolto autorità e spontaneità agli arbitri?

Il VAR non ha tolto né autorità né spontaneità agli arbitri, anzi gli ha permesso di aumentare la credibilità arbitrale, un fattore importante. Per diventare direttori di gara bisogna essere credibili, avere grande personalità, carisma e forte ascendente sui calciatori.

Il VAR è stato un vantaggio. Quanto al suo utilizzo, non saprei. Ho qualche dubbio perché è un protocollo applicato da esseri umani, che spesso è confuso, deficitario e difficile da interpretare. Se fosse più chiaro e semplice, credo che potrebbe essere davvero la grande novità arbitrale di questi ultimi anni.

C’è una decisione arbitrale del passato, tua o di altri, che ha cambiato le regole del calcio?

Sì, e mi riferisco a una decisione di Pierluigi Collina che per me è un fenomeno, un grande fuoriclasse, un arbitro di così grande livello che si cerca sempre di imitarlo ed è avvenuta quando ha invertito il campo nella partita Foggia-Bari del 1997 perché c’erano delle intemperanze.

C’è stato un momento in cui hai capito che saresti arrivato ai massimi livelli del calcio italiano internazionale?

Mai. Ho iniziato questo percorso per caso, perché mi hanno iscritto a un corso, ma da piccolo non pensavo di fare l’arbitro. Ho scoperto però un bellissimo ambiente, con uno spirito di coesione pazzesco. Per me, da ligure, il massimo obiettivo era arbitrare nella mia regione. Allora c’erano i guardialinee e quella era la mia maggiore aspirazione.

Poi la fortuna e tante situazioni favorevoli mi hanno portato ad arbitrare in Serie A, ma non me lo sarei mai immaginato, non era il mio obiettivo. Però forse dovevo smettere prima per evitare tutti i casini che ho fatto…

A quali casini ti riferisci?

Il più clamoroso è l’espulsione di Van Basten in Milan-Roma, ma ce ne sono tanti altri, fa parte del normale percorso di un arbitro.

Nel corso della mia carriera ho arbitrato 170 partite di Serie A, non le ho sbagliate tutte, però in questa professione si ricordano solo gli errori.

Qual è la partita più difficile che ti sei trovato ad arbitrare e perché?

Le partite sono tutte difficili, ma arbitrare i derby è sicuramente una sfida perché sono intrisi di passione, fede e rivalità. A me ne manca uno purtroppo, quello di Genova, ma non mi è stato possibile arbitrarlo. Questo è l’unico grande rammarico della mia carriera.

Se tornassi indietro, cosa cambieresti nella tua carriera di arbitro?

Probabilmente cambierei il mio atteggiamento. Cambiare per migliorare è sinonimo di grande intelligenza. Forse io questa intelligenza non l’ho avuta.

Potevo metterci più motivazione e pormi degli obiettivi più sfidanti, invece ho preso quello che è venuto e forse mi sono anche accontentato. Potevo ottenere di più, ma probabilmente questo era il mio limite. Poi la mia è stata anche una carriera che si è evoluta nei programmi televisivi, che mi hanno dato visibilità. E comunque anche lavorare in televisione per tanti anni non è mica facile!

E’ più difficile arbitrare o commentare gli errori altrui?

La cosa più bella è arbitrare ed è sicuramente anche la più difficile. La cosa brutta è dover commentare gli errori di una professione che tu stesso hai svolto.

In quel caso devi essere onesto, con te stesso e con il pubblico. Non ci sono più 80 mila persone, ma milioni di persone davanti alla televisione e la credibilità è fondamentale, così come la serietà e l’imparzialità.

Fonte: https://affidabile.org/news/graziano-cesari-il-nome-straniero-vende-piu-abbonamenti-e-i-giovani-italiani-non-crescono/