PACE, quanto è dolce e dura questa parola. Riflessioni di Calogero Centofanti
La società civile, quanto mai attenta e partecipe delle gravi problematiche contemporanee, come il diritto alla pace, era convinta dell’accorato appello lanciato dal Pontefice Leone XIV, Vicario di Cristo, in occasione del suo insediamento a guida del supremo Magistero evangelico, sull’esigenza di una pace sia in Europa che nel Mediterraneo. Quest’ultima, si sperava, potesse essere accolta con sublime tempestività.
Invece, sembra che, nonostante l’impegno di Paesi protagonisti della storia europea e mondiale, la presente invocazione di pace appaia ritmata da strane strategie, talune sostenute da frequenti incontri diplomatici e da telefonate tra i grandi. Tutto ciò, mentre sangue innocente irrora le aride zolle dei vasti territori, ridotti non solo a cumuli di macerie fumanti, ma anche ricoperti da corpi straziati.
Ci si chiede se, in concomitanza di gravi circostanze avvenute nello scorso cinquantennio, la presenza di personaggi politici come gli attuali, sia plenipotenziari che volenterosi, avrebbe potuto evitare che quella scintilla si trasformasse in un devastante incendio mondiale.
Non vorrei che l’attuale materiale umano fosse così degradato da non ascoltare non solo le docili ma ferme parole del difensore di Cristo, ma anche quelle di altri umili e leali protagonisti, proiettati in una vocazione di reciproco rispetto e non in un’affannosa conquista di profitti personali o di nazionalismi esasperati. Se così fosse, l’umanità sarebbe esposta a rischi sempre più incombenti e travolgenti.